ESTATE
Tempo di estate, tempo di bilanci per noi della Prevenzione nelle Scuole al Territorio. L’anno scolastico è terminato, ed è questo per noi il Capodanno lavorativo, momento di riflessioni sul futuro che verrà, sui progetti nuovi che forse, si spera, prenderanno forma e nome, momento di desideri che si possono esprimere ad alta voce- vorrei lavorare ancora con Tizio o Caia, vorrei aprire un canale in quella tal scuola cosi ostica, vorrei sperimentarmi in quel tema audace, non vorrei più fare le rendicontazioni il prossimo Capodanno!.
E insieme a vaghe fantasticherie, tiriamo la riga su quello che è stato questo anno cosi denso e faticoso. Ce lo dobbiamo raccontare, Barbara Alessandro ed io, perché ormai la Storia vuole che al suono della prima campanella di settembre le nostre strade si dividano, ciascuno lanciato, e meglio in alcuni casi sarebbe dire “scaraventato”, nelle attività in classe, impegnato nell’incastro enigmistico dei calendari, assorbito dalle richieste e dalle parole preziose di insegnanti molto attivi e…molto ansiosi, a caccia di link su meet come fossero ancore di salvezza in un mare in tempesta. Accade così che ci si perda di vista per molte settimane, fino a quando, ai margini dell’estate, ci si ritrova e ci si racconta.
Diverse ma simili le nostre esperienze di questo anno trascorso, segnato dall’emergere nei ragazzi di tutti quei sintomi che il primo durissimo lockdown aveva celato. Il mondo degli adulti, e dei media che dagli adulti sono di fatto governati, si era riempito la bocca nel tessere le lodi di tutti gli adolescenti e i giovani ligi alle regole di chiusura e distanziamento- ma che bravi questi ragazzi, i ragazzi sono gli unici scrupolosi delle restrizioni, come sono virtuosi e come sono perfetti.
Nella preoccupazione del momento, pochi si sono fermati a valutare il peso e l’impatto di quei mesi di chiusura totale sulle vite dei ragazzi. Sul fatto che chiedere ad un adolescente di stare chiuso in casa è come chiedere ad un albero di non mettere radici, è qualcosa di sbagliato non tanto eticamente o educativamente, è qualcosa che va nella direzione dell’anti vitale, che va contro anni di evoluzione e di storia, che va contro la programmazione biologica del cervello. Per un adolescente vedere i propri pari e fare esperienze insieme ad essi è un imperativo biologico ancora prima che cognitivo e sociale, il suo cervello e il suo sviluppo neuronale dipendono da quelle interazioni, i suoi ormoni chiedono confronto con l’Altro, esperienze adrenaliniche e rischiose, di gioia e dolore, di trasgressione e noia. Esperienza che non può essere confinata alle dimensioni di uno schermo, ma deve giocarsi sui cinque sensi, sul toccare, annusare, fare insieme, stare insieme in silenzio. Per l’adolescente lo scambio con i pari ha una valore enormemente superiore a quello che può avere per un adulto. Se l’adolescente viene privato di questa fondamentale esperienza, rischia moltissimo, rischia abortire sinapsi, di uccidere connessioni neuronali, di seccare le sue radici.
E noi, con la riapertura graduale, a percentuale, altalenante, intermittente delle scuole, abbiamo trovato alberi alla deriva e ormai senza radici, alberi fragilissimi con le radici quasi del tutto seccate, alberi fortunati con radici tenacemente ancorate alla terra, alberi che cercavano di resistere nonostante tutto. E’ stata un esperienza penosa assistere in una manciata di mesi ad un cambio di scena così drammatico: ragazzi spenti sia dietro il banco che dietro il video, apatici e spaventati, fragili senza essere anche sfrontati, permalosi, insolenti, irriverenti come sempre li abbiamo visti. Quello che più mi ha colpita è stata proprio la sparizione di tutte quelle “simpatiche” caratteristiche, croce di genitori e insegnanti, che connotano il modus operandi adolescente: l’irriverenza, l’insolenza, la sfrontatezza, la presunzione, la fatica a stare nelle regole, l’indisciplinato e indisciplinabile tono dell’umore. Espressioni antipatiche ma profondamente vitali e squisitamente adolescenziali alla cui sparizione abbiamo assistito, sgomenti. Difficile spiegare a parole quanto fosse un’emozione bella e allo stesso tempo frustrante e dolorosa essere lì con loro, testimone impotente, protagonista io stessa mio malgrado di questi mesi così duri come mamma, figlia, lavoratrice, amica, essere umano. La difficoltà vera è stata quella di trovare le parole, perché se è vero che la sofferenza dei ragazzi è stata clamorosa, anche la loro voglia di parlarne, di condividerla, di farsi aiutare dagli adulti è stata altrettanto evidente, e questo è stato un bene prezioso, alleato del nostro lavoro a scuola. Nei gruppi di peer education, in aula con insegnanti preoccupati e amorevoli, abbiamo potuto raccogliere angosce, demonizzare paure, socializzare ansie ed esprimere bisogni da tempo inespressi, dando voce a ragazze e ragazzi che stavano vivendo un’esperienza eccezionale e che ci hanno dato ancora una volta una grande lezione: la lezione dell’ascolto, che è l’ascolto attento e interessato, della parola che può curare, sollevare, alleviare e dopo può anche dare speranza, riaccendere desideri e progetti. Gli adolescenti hanno anche questa volta invertito il paradigma: vogliamo essere ascoltati, vogliamo adulti che non si spaventano, vogliamo essere visti e non usati, avere spazio per coltivare idee e ideali. Sul finire dell’anno, con le giornate più lunghe e rosee prospettive di libertà, abbiamo visto sorrisi e ascoltato progetti di vacanze marine, un germoglio di buon auspicio e speranza per l’anno che verrà. Un grande tesoro per noi, una grande occasione da non dimenticare nel tempo di un’estate!
Sara Vengust, psicologa per i servizi della prevenzione